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giovedì 09 maggio 2024 | ore 21:04

Cronache del dopobomba

Sette film per riflettere sulle conseguenze di un conflitto atomico. Sette moniti indirizzati ai potenti della terra e a tutta l’umanità.
Cinema - Scena postapocalittica - Foto di savagerus | Freepik

Nell’articolo 'La terza guerra mondiale vista da Hollywood' avevamo parlato di come il cinema ha immaginato lo scoppio di un nuovo conflitto globale. Possiamo considerare questo approfondimento come un proseguio di quel concetto, infatti tratteremo quello che succede dopo che il disastro si è ormai compiuto. Lo scopo di tali film è principalmente quello di mostrare come sarebbe la vita dopo l’olocausto nucleare: anarchia, barbarie, saccheggi, violenze, società distopiche e mostri creati dalle radiazioni atomiche, sono solo alcuni dei molti spauracchi che hanno caratterizzano il genere dagli anni cinquanta in poi. A parte qualche eccezione come ‘The divide’ di Xavier Gens e ‘Sopravvissuti’ di Craig Zobel, al giorno d’oggi, la bomba, è stata lentamente rimpiazzata con catastrofi più o meno naturali, per la maggior parte causate dall’operato dell’uomo; ma con la definitiva invasione dell’Ucraina e l’inasprirsi della tensione fra Occidente e Oriente, la bomba è tornata a far parlare di se e delle sue conseguenze. Il genere del dopobomba è molto vasto e variegato; si potrebbe scrivere un intero libro con tutti i film incentrati sull’argomento usciti nell’ultimo secolo e mezzo. In questo articolo, però, ci limiteremo ad analizzare solo sette titoli dei più significativi e impattanti film del filone del dopobomba; sette film dove la civiltà viene distrutta e annientata e dove l’umanità affronta il nemico più grande: se stessa.

La fine del mondo
Ralph Burton, un minatore di colore che sta lavorando in una galleria, viene isolato da una frana ed attende i soccorsi che si stanno avvicinando ma, dopo due giorni, sembra che tutte le attività siano cessate. Convinto che le ricerche siano state interrotte riesce ad uscire da solo dalla miniera ma, una volta emerso, trova le strade deserte e nessuna traccia di persone. Aggirandosi per una New York completamente abbandonata comprende, da un quotidiano trovato a terra, che una guerra nucleare esplosa mentre lui si trovava sotto terra, ha distrutto l’umanità e, dopo essersi rifornito di provviste, inizia a cercare senza esito dei superstiti. Dopo alcuni giorni, e dopo essere riuscito a mantenere attiva la corrente elettrica, mandando anche un messaggio della sua presenza da una stazione radio, ha un attimo di sconforto e getta un manichino dal balcone della casa dove si trovava, sentendo distintamente un grido di donna. Precipitatosi in strada trova Sarah Crandall, una donna salvatasi grazie alla sua presenza all'interno di una camera di decompressione al momento della catastrofe. I due iniziano a collaborare alla loro sopravvivenza vivendo in case separate ma, quando Sarah gli propone di trasferirsi insieme, Ralph, uomo di colore, offeso da una involontaria battuta infelice della donna, ne prende le distanze, nonostante inizi a provare un sentimento per lei. Un giorno arriva in porto, su di una barca, Benson Thacker, un uomo bianco gravemente ammalato ma, salvatosi forse grazie alle correnti che hanno disperso la nube tossica, e Ralph riesce a guarirlo utilizzando un libro di medicina. Una volta riavutosi, Benson non comprende le motivazioni per le quali i due quasi si evitino in una situazione come quella che vivono ma, innamoratosi anch'egli di Sarah, incomincerà a vedere in Ralph un rivale in amore, il che porterà i due a un inevitabile scontro per il possesso della donna amata. Ricco di tensione, carico di denuncia sociale, ma a tratti anche un po' inverosimile, il film di Ranald MacDougall è considerato un must per il filone del dopobomba degli anni cinquanta. Nella prima parte del film vediamo il protagonista principale (un operaio di colore), che svolge il suo lavoro al meglio delle sue capacità. Quando però (per un caso fortuito) sopravvive all’olocausto atomico, esso si ritrova ad essere l’unico sopravvissuto in tutta la città di New York. La cosa inverosimile della prima parte del film, è che nonostante la guerra atomica, le strade siano completamente prive di cadaveri (anche animali), quando la logica suggerisce che a causa delle radiazioni almeno una salma sia presente in questo scenario post-apocalittico. A parte questa fallacia logica, il film è molto godibile, anche grazie alle buone atmosfere sottolineate dalla splendida fotografia in bianco e nero, e dalla colonna sonora di Harry Belafonte. Nonostante il film sia parecchio datato, il suo messaggio pacifista e anti-razzista è ancora attuale oggi come allora; a sottolineare che dopo un conflitto atomico la cosa più importante non è la sopravvivenza della razza che conta, ma la sopravvivenza della specie al di là delle differenze etniche, politiche e ideologiche che contraddistinguono il genere umano.

Il mostro del pianeta perduto
Dopo il conflitto atomico, sette persone scampano miracolosamente alle nubi radioattive che stanno devastando gli Stati Uniti, rifugiandosi in una casa-rifugio, costruita in una valle protetta dalle radiazioni mortali. Il ritrovarsi in sette pone subito il problema dei pochi rifornimenti. Radek, uno degli scampati è colpito dalle radiazioni ma sopravvive pur non riuscendo a cibarsi come gli altri; ha bisogno solo di carne cruda. Lo scienziato militare costruttore del complesso, trova in questo fatto la conferma che le radiazioni atomiche possono trasformare alcuni esseri umani od animali, in modo che abbiano esigenze di vita diverse dalle normali. Dopo l’inquietante scoperta, fa la sua comparsa un misterioso mostro, che attacca il gruppo dei sopravvissuti; incomincia così una lotta all’ultimo sangue dagli esiti disastrosi e autodistruttivi. Negli anni cinquanta, oltre alla paura della bomba atomica, c’era anche la paura delle conseguenze scatenate da essa. Roger Corman tento di affrontare l’argomento nel 1955, con questo filmetto da drive in diventato ormai un grande classico per gli appassionati di tutto il mondo. Il film di Corman nonostante il budget piuttosto esiguo, riesce a portare una ventata di innovazione narrativa che fino a quel momento era rimasta assente dai precedenti film del genere. Il film mostra una dispersione del genere classico, come era intesso fino ad allora, per ampliarsi a una maggior contaminazione e dispersione dei codici di genere; difatti troviamo vari stereotipi e riferimenti tipici del cinema di quel periodo: il personaggio del vecchio cercatore d’oro rappresenta chiaramente il genere western; il delinquente malavitoso rappresenta i gangster movie; mentre la love story tra Rick e la figlia dello scienziato è un chiaro riferimento al cinema sentimentale. Se per la prima parte il film mantiene una piega che viaggia tra il drammatico, sentimentale e il futuristico, ecco che a un certo punto la storia si capovolge e appare un mostro. Il primo problema fino ad allora erano le radiazioni che non stavano diminuendo con il pericolo incombente di contaminazione e di non riuscire a sopravvivere a causa di un inquinamento del cibo e dell’aria. Con la comparsa del mostro l’intero film assume una nuova prospettiva e orizzonte di riferimento. Questo essere sembra possedere un legame telepatico con la protagonista Louise, plagiandola e costringendola a fare tutto ciò che vuole; il tutto viene narrato sfruttando il climax horror con inquadrature che mostrano l’importanza del fuori campo dove vediamo prima gli artigli, ora l’ombra e solo infine il mostro; una tale svolta horror e di suspense pian piano va ad avvolgere tutta la narrazione, perfino la tematica della radiazione atomica viene impregnata di aura di terrore e mistero. Il film di Corman possiede una sapiente costruzione narrativa dal forte moralismo, il cui tema principale è la devastazione della civiltà che porta l’uomo allo stato ferino e dove i peggiori istinti primordiali vengono a galla portando una scia di morte e distruzione mille volte peggiore della stessa bomba atomica.

Il giorno dopo la fine del mondo
Harry Baldwin, con sua moglie Ann e i loro figli Rick e Karen, partono da Los Angeles con la roulotte per una giornata di pesca e svago nella Sierra Nevada. Mentre sono in viaggio, i Baldwin notano degli insoliti lampi luminosi provenienti da grande distanza. La radio annuncia l'inizio di una guerra termonucleare e ciò viene confermato quando i Baldwin vedono un grande fugo atomico sopra Los Angeles. I Baldwin tentano inizialmente di tornare per salvare la madre di Ann, che abita in un sobborgo della città, ma presto abbandonano questi piani quando vedono alcuni rifugiati che scappano terrorizzati per sfuggire alla ricaduta radioattiva. Dopo essersi reso conto che la società è del tutto crollata, Harry decide che la famiglia deve trovare rifugio presso la loro casa vacanze, che si trova in un luogo appartato. I Baldwin si trovano catapultati in un nuovo Far West, popolato da spietati banditi e pericolose gang di teppisti oramai fuori controllo. Un film sorprendente, che si occupa di una tematica molto delicata, considerando il fatto che il film fu girato in piena guerra fredda, quando il pericolo di una catastrofe nucleare era praticamente incombente. Il grandissimo attore Ray Milland si cimenta per la quarta volta dietro la macchina da presa, e gira un film originale, con pochissimi mezzi ma molte idee, ricreando una situazione equivalente allo stato di natura (per questo il titolo originale del film è ‘Panico nell’anno zero’), nella quale vige la legge del più forte e dove l'ordine e la civiltà sono del tutto assenti, nonostante però si presentino continuamente delle difficili scelte morali da affrontare per il protagonista. C'è quindi una vera e propria lotta per la sopravvivenza, e sono diversi i modi in cui la gente reagisce di fronte alla catastrofe: chi cerca di approfittare della situazione (i tipici sciacalli) e chi invece cerca di ingegnarsi per sopravvivere, come il protagonista e la sua famiglia. Il film di Ray Milland può essere visto come un moderno western del dopobomba, che però risulta ancora oggi agghiacciante come un tempo non solo perché il pericolo di una catastrofe nucleare è sempre incombente, ma soprattutto perché una situazione di emergenza nazionale e di blocco totale delle attività (nella quale le famiglie sono costrette a isolarsi) come quella riprodotta nel film ad oggi continua a verificarsi (ovviamente in una misura ben diversa) nel mondo intero, come la recente pandemia da Covid-19. Questo film mostra cosa succederebbe se la situazione dovesse precipitare, soprattutto a causa del comportamento indiscriminato dell'uomo, che rischia di riportare il mondo a una nuova era di secoli bui.

L’ultima spiaggia
Al termine della terza guerra mondiale, l'emisfero settentrionale è un mondo completamente distrutto dalle esplosioni nucleari. Anche il resto della Terra è destinato a subire l'ondata devastatrice delle radiazioni, ma, per il momento, in Australia la gente si illude o finge di illudersi di avere ancora una via di scampo. Un sottomarino americano, il Sawfish, comandato da Dwight Lionel Towers, sfuggito al disastro perché in immersione al momento dell'esplosione atomica, fa rotta verso le coste australiane per valutare le possibilità di sopravvivenza. Giunto in Australia gli viene assegnata una missione: di recente è stato captato un radiosegnale telegrafico in un incomprensibile codice Morse, proveniente dal sud della California; benché sia altamente improbabile che al di sopra dell’Equatore possa esservi ancora vita, a Towers viene ordinato di scoprire la fonte del segnale, al fine di determinare se c’è ancora una speranza per l’umanità. Tratto dal romanzo omonimo di Nevil Shute, il film diretto da Stanley Kramer nel 1959, è considerato ancora oggi uno dei migliori esempi delle reali conseguenze di un conflitto nucleare globale. Il tema dell'olocausto nucleare, in questo film, è affrontato senza prendere posizione rispetto a chi ne sia stato l'iniziatore: l'unica presa di partito in tutto il film, infatti, è la citata frase dello scienziato Julian Osborne, il quale, lungi dall'attribuire la responsabilità del conflitto a una o all'altra delle parti in guerra, contesta alla base l'idea che con strumenti di distruzione di massa si fosse mai potuto pensare di mantenere la pace. Kramer e lo sceneggiatore John Paxton (‘La tela del ragno’, ‘Il selvaggio’, ‘Odio implacabile’) rispettano lo spirito del testo originale, pur con qualche accorgimento e qualche aggiunta ridondante (ad esempio la presenza dell'ammiraglio australiano e della sua attendente, non presente nel romanzo; la sorgente del segnale telegrafico, nel romanzo a Seattle, nel film a San Diego, ecc.). Nonostante qualche passaggio narrativo un po’ arrugginito, è ammirevole sul piano politico l’afflato internazionalista, la volontà di essere un manifesto umanista e non solo a uso e consumo della democrazia statunitense: non c’è (più) un nemico, un unico colpevole, restano solo gli ultimi scampoli dell’umanità. Il film ‘L’ultima spiaggia’ è un devastante monito ai potenti della terra, affinché si ricordino che in una guerra nucleare non c’è nessun vincitore ma solo vinti.

Gli avventurieri del pianeta terra
Dopo una disastrosa guerra nucleare, avvenuta vent’anni prima, la civiltà è ridotta allo stremo. Nelle strade di New York, carcasse di auto e case fatiscenti sono il panorama che si presenta alle persone sopravvissute, perseguitate da delinquenti riuniti in bande che si contendono le ultime scorte alimentari. L'orrore quotidiano di dover uccidere per non essere uccisi, in un luogo dove si può morire per il possesso di un paio di scarpe o dei propri vestiti, viene evitato in una piccola comunità che vuole rimanere civile e si è asserragliata in un quartiere dandosi delle regole a base di solidarietà umana e convivenza civile. A capo di questa piccola società è stato eletto un sindaco, chiamato il Barone, che governa e amministra la giustizia secondo i principi della ragione e della democrazia. In questa comunità il tesoro più considerato è una piccola coltivazione di pomodori, costruita in una serra sul tetto, non sono coltivati per il consumo ma per ricavarne semi al fine di fare una piantagione su larga scala. Gli assalti sono frequenti e quando un guerriero di nome Carson si offre al servizio, il Barone lo assume per la difesa della cittadella. Il Barone ha una figlia incinta, Melinda, e un progetto segreto, mandare la figlia e il marito in una comunità su un'isola lungo la costa della Carolina del Nord dove piantare i semi di pomodoro e generare una coltivazione estesa. Una notte la banda, capeggiata da Carrot, attacca la cittadella, ruba i pomodori e ammazza il genero del Barone. Carson il guerriero combatte aspramente col pugnale abbattendo molti nemici e mettendo in fuga la banda, ma il tempo stringe e il Barone decide di far fuggire in campagna la figlia con il guerriero. Per i due protagonisti inizia un viaggio irto di pericoli. Nel 1975, il film ‘Gli avventurieri del pianeta terra’ inaugurava il filone del cinema post-apocalittico urbano; una serie di film che fungeranno da spunto per ‘1997: fuga da New York’ di John Carpenter. A differenza delle precedenti pellicole del genere, il film di Robert Clouse (regista de ‘I tre dell’operazione drago’) si concentra maggiormente sul lato violento di una società neo-barbarica in balia di se stessa. La sequenza che apre il film promette una lotta per la sopravvivenza, senza esclusione di colpi: due colombi si posano leggeri su una trave di un capannone apparentemente deserto... e subito mani rapaci li afferrano in un turbinio di piume e di grida. Di agguati, violenza, e combattimenti corpo a corpo, il film offre, in effetti, una buona dose, e se il tema che affronta non è nuovo (ed in parte può riecheggiare situazioni tipiche da western) ed il finale può sembrare un po' retorico, il film trae forza da un'atmosfera di cupo pessimismo che lo pervade e da un senso di impotenza davanti al degrado della civiltà.

The day after-il giorno dopo
Nella città di Kansas City la vita di tutti i giorni scorre normalmente, nonostante le svariate notizie di un inasprimento militare da parte di Stati Uniti e Unione Sovietica. Alla fine tutto si trasforma in un incubo a causa dello scoppio della Terza Guerra mondiale, seguita da un conflitto nucleare globale. L'effetto del cataclisma è il ritorno a un medioevo di fame e di freddo con saccheggi, processioni di sopravvissuti, plotoni d’esecuzione improvvisati e malattie causate delle radiazioni atomiche. Nell’autunno del 1983, sulla rete televisiva ABC, andava in onda un film che avrebbe diviso l’opinione pubblica e che fa parlare di se ancora oggi. ‘The day after – il giorno dopo’ è una delle più grandi produzioni televisive realizzate negli anni ottanta; diretto da Nicolas Meyers (conosciuto principalmente per ‘Star Trek 2: l’ira di Khan’), il film a differenza delle precedenti pellicole del genere, mostra per la prima volta la crudezza e gli orrori delle conseguenze di una guerra nucleare. Nella prima parte del film assistiamo alla vita ordinaria di una serie di personaggi; le loro giornate scorrono normalmente, fino a quando una serie di notizie che parlano di un ammassamento di forze sovietiche ai confini della Germania Ovest, sconvolgono la quotidianità dei protagonisti. Da questo punto in poi è un escalation di eventi drammatici: i negozi vengono presi d’assalto, le notizie si fanno sempre più confusionarie e allarmanti, la gente incomincia a lasciare le grandi città in preda al panico e molti nelle zone rurali costruiscono dei rifugi antiatomici improvvisati. Alla fine si scatena l’Apocalisse. Tre missili sovietici forano il cielo e si abbattono su Kansas City mentre migliaia di persone affollano lo stadio cittadino per seguire la partita di football. Il fungo nucleare avvolge la città e i suoi dintorni: la luce abbagliante brucia i corpi e li disintegra, un pulviscolo di morte ricopre strade ed edifici, cancellando Kansas City dalla carta geografica. Il giorno dopo, i pochi sopravvissuti vagano sperduti e allucinati in quel che resta della loro città; alcuni sparano, saccheggiano, violentano; altri (come il medico interpretato da Jason Robards) vagano contaminati alla ricerca della famiglia: larve umane senza speranza, né possibilità di fuga. Il film di Nicholas Meyer èun monito agghiacciante alla follia del riarmo, alla strategia del terrore, ma anche qualcosa di più. Lo sterminio nucleare che descrive non è mitigato dalla fantascienza o dalla suggestione cinematografica del ‘Medioevo prossimo venturo’; è uno sterminio vero, che sfigura facce e corpi, che imbarbarisce il vicino di casa, che pesa come un masso sul nostro futuro: se cade la Bomba, ecco che cosa accadrà.

Quando soffia il vento
Jim e Hilda Bloggs sono un'anziana coppia di coniugi inglesi che vive isolata in una casa in campagna. La radio annuncia che l’Unione Sovietica è pronta a lanciare un attacco nucleare sulla Gran Bretagna: Jim non se ne preoccupa più di tanto, convinto com'è che il governo saprà rimediare a tutto, ed ha una fiducia incrollabile negli opuscoli governativi contenenti le istruzioni sul da farsi nel caso di bombardamento. Dal canto suo la moglie Hilda non sembra comprendere la gravità della situazione, e si preoccupa di più per le faccende domestiche. I coniugi tendono a paragonare la situazione alle vicende da loro vissute durante la Seconda Guerra Mondiale, e quando un missile colpisce le vicinanze della loro casa si ritrovano del tutto impreparati ad affrontare l'emergenza. Nel 1986 un film d’animazione fuori dagli schemi sconvolse gli spettatori di mezzo mondo. Tratto dal graphic novel di Raymond Briggs, il film di Jimmy T. Murakami è uno dei più provocanti e rivoluzionari film d’animazione che hanno segnato maggiormente la cultura pop degli anni ottanta. Fra i numerosi e appassionati atti d'accusa contro la guerra che il cinema ha prodotto, questo film è uno dei più toccanti e problematici. I due indifesi protagonisti suscitano simpatia e commozione in quanto simboleggiano le innumerevoli vittime sconosciute di ogni conflitto, ma il loro mal riposto ottimismo verso i governanti e la mancata percezione della gravità di una guerra atomica (pericolo nuovo e in niente paragonabile alla pur drammatica seconda guerra mondiale), suonano come denuncia alla cronica disinformazione (imputabile solo in parte ai mezzi di comunicazione) delle masse popolari circa gli attuali scenari delle crisi internazionali (il paragone con il presente è a dir poco paradossale, specie dopo il Covid 19 e l’attuale crisi Ucraina). Venato di caustico umorismo inglese, il racconto ridicolizza i mezzi e le scelte escogitati dalla burocrazia ministeriale per fronteggiare un'emergenza, ma stigmatizza anche il silenzio del cittadino che con la sua apatia delega il proprio destino alla più impersonale delle "Autorità". Sotto il profilo artistico, va sottolineata la personalissima tecnica di combinazione tra disegni animati bidimensionali e fondi tridimensionali, che fanno sembrare il film un ibrido tra live-action e animazione. Ancora oggi il film di Murakami (così come il fumetto da cui è tratto) è considerato una favola nera del dopobomba, un sinistro e angosciante monito contro l’ingenuità e l’ignoranza del cittadino medio, convito che i politici e le istituzioni governative possano far fronte a qualsiasi problema, ma che vengono meno quando il disastro si è ormai compiuto.

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